mercoledì 3 ottobre 2012

Terzo quaderno di considerazioni sparse

 Pensavo un tempo che, giunta la residua stagione del vìvere, non  fosse inopportuno approntarsi ad un consuntivo della propria esistenza. Lasciar da banda l'annosa coltivazione dei diversi saperi, per dedicare forte impegno ai problemi ùltimi posti dalla filosofìa. Pensavo che venisse il momento d'accantonare i valzer di Strauss e pure "L'arte della fuga" di Bach, smettere la lettura di Camilleri e Cassola e pure di Omero e Shakespeare, togliere i quadri di Schifano e pure di Rembrandt, per ricuperare o inaugurare le metafisiche di Platone e Aristotele, il tomismo medievale, l'empirismo di Hume... Pensavo che alla morte ci si dovesse presentare forniti della lùcida consapevolezza del nostro èssere....  Ma ho compreso che ero del tutto fuori strada, giacché se la morte è nullificazione dell'Io, scioglimento dell'èssere individuale nell'universale ed indistinto èssere, o non-essere, del Tutto, allora occorre andar incontro ad essa favorendo detto sgretolamento, senza frapporre ostàcoli che ci danneggerèbbero nell'ineludìbile "passaggio" dalla vita al nulla. Nell'estremo perìodo dell'esistenza è bene alleggerire il nostro spìrito, progressivamente frantumarlo e svuotarlo, per modo che nel fatale momento si trasformi in pòlvere senza dolore o angoscia: quale l'accadimento più ovvio del mondo. Il congedo da noi stessi non dev'èssere il precipitare di un enorme macigno nello stagno, ma lo scivolare di una piuma sull'acqua... Dunque in vecchiaia bando alle escatolgie, all'Io demiurgo, a Descartes e Leibnitz, ma in loro vece, quali sedativi dell'ànima e della sensibilità, le cose mìnime e inavvertite che dispòngono l'io ad appennicarsi e finire. Ad esempio, la scelta accurata del prosciutto e/o salame dal salumiere, la ricerca metòdica delle offerte al supermercato, l'ascolto delle canzonette melòdiche e dei fèstivals di Sanremo, la lucidatura quotidiana delle scarpe et cetera... Un'alienazione blàndula sì da conformare gradualmente l'io alla prospettiva del non-èssere. La morte verrà ed avrà i nostri occhi beati, inerti, reificati.
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Sono un fallito di qualità, come Fìgaro, di qualità. E se non mi toccasse vìvere sarei anche allegro.
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L'Europa s'affanna a curare ciò che giudica malattìa senza accòrgersi ch'è agonìa.
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 Sono stato generato senza il mio nulla osta. Sono stato partorito in Italia senza il mio nulla osta. Cresimato e battezzato senza il mio nulla osta. Educato senza il mio nulla osta... Quando sono diventato adulto, e avrei potuto infine decìdere di me, i giochi èrano ormai fatti, ed io inchiavardato a la funeste résignation.
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L'òpera disgregatrice del tempo non ha punto scalfito la natura dell'òrgano, che pare tuttora lo strumento musicale più propenso a solcare l'ocèano, o stagno, dell'ànima. Già la sua plenitùdine fònica appaga. Sontuoso, esso ci aderge meglio d'ogni altra voce alla sacertà e al fastigio dell'arte, ma anche agli ùltimi orizzonti spirituali che si dischiùdono e balùginano - di là dalle nostre intricate pene - nel rebussistico contatto dell'Io con l'assoluto, prima che la nostra attenzione torni all'àrido adempimento delle bisogna immanenti, ossia al gran macello, o bordello, del quotidiano esìstere. Ma è pur indiscutìbile che, rovesciata la medaglia e ben osservàtone il retro, l'òrgano si presta ad un imbarazzante equìvoco emozionale. A dirla schietta: l'effetto di una nuda nota suonata da un pianoforte, òboe o violino, non va oltre la propria limitatezza fìsica ed espressiva; nel mentre la medèsima nota realizzata dall'òrgano nella maravigliosa  totalità dei registri si amplia a cattedrale che fiammeggi e avvinghi il creato intiero. Per tacere, sul piano della prassi, del pòvero violinista, o violista, o cellista, che ha da durar fatica a cavare esatta e linda quella nota con il consumato archetto, nel mentre ad un qualsìasi organista - sia pure ragazzino - gli basta poggiar il dito su una apparecchiata tastiera dell'òrgano per ingenerare quell'iperboleggiante sognerìa metafìsica votata a  sferzare e spampanare l'immaginativa delle masse affatate.
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Domandarci che cosa ci sia dopo la morte è insensato come domandarci che cosa ci sia dopo il futuro. La risposta: "L'eternità" è del pari insensata giacché l'eternità esclude il divenire del tempo. O il tempo o l'eterno. Se fosse vero l'eterno, la morte non succederebbe alla vita ma coinciderebbe con essa... Donde l'ùnica domanda legittima: "Esisto o sono un fuoco fatuo del non-èssere?".
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Gli individui si capirèbbero assai meglio se, invece di scambiarsi parole, sollevàssero nottetempo lo sguardo alla volta stellata per scrutarvi la fitta costellazione dei pensieri recìproci.
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Beato il cieco che non vede la meta rispetto allo stolto che si danna a conseguirla.
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Che la miglior vendetta sia il perdono è vexata quaestio. Il perdono anestetizza la colpa del reo, così depotenziato nel corroborante sentimento del rimorso. Per altro verso il perdono uccide la natura, le energie, le difese del colpèvole, e sotto tal profilo esso costituisce un riprovèvole "eccesso di difesa" da parte della vìttima... Diciamo che all'uomo conscio dei propri lìmiti è lècito soltanto il peccare, dato che il perdonare, secondo si rileva anche nel "Saggio sulla crìtica" di Pope, vale un'invasione di campo nel Divino.
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Se hai ascoltato la mùsica di Bach, Mozart e Beethoven, hai ascoltato tutta la mùsica. Se hai letto la poesia di Dante, Shakespeare e Goethe, hai letto tutta la poesia. Se hai studiato la filosofia di Aristotele, Kant e Hegel, hai studiato tutta la filosofia. Se hai visto la pittura di Leonardo, Raffaello e Michelangelo, hai visto tutta la pittura... Ma se hai vissuto cento e cent'anni, non hai ancora vissuto neppure un'ora: sei in attesa, alla fermata di un tram che non passerà mai.
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Tanto la mùsica d'arte si è abbrutita coll'avanzare dei tempi che non parrà impresa irragionèvole cercarne altra, di specie diversa. Si bùttino a mare flàuti, cèmbali e viole, e la serqua d'òpere indecenti che nel sècolo trascorso strumenti ed ugole hanno impastato, e ci si volga all'impiego d'altre voci. Chi ha detto che il compositore debba continuare a curvarsi su un tàvolo per trascinare la penna riottosa su un liso pentagramma, o peggio, soccòmbere ad un marchingenio elettronico? E chi ha deciso che la mùsica sia un prodotto esclusivo della creatività umana? Auguriàmoci che il neonato sècolo sancisca la fine di questa sfibrata forma d'arte sicché ci si possa vòlgere ad un territorio incontaminato, o poco esplorato. Intendiamo quel canto che, lungo l'andar delle ore per le plaghe del mondo, la fantasìa della natura profonde. Demoliti teatri e auditori, edificati musei per allogare i sommi del passato, il nuovo linguaggio avrà per tempio ogni metro quadrato del pianeta, da cui caccerà i compositori rivelàtisi indegni di sì alto ufficio, e s'affiderà agli elementi del cosmo. La nuova stagione sostituirà le teorie di note con preludi di giunchi, madrigali d'aurore, rondò d'ocèani, ballate di brume, sonate di neve e duetti di foreste e pesci... Mùsiche elusive, recepite dal desiderio prim'ancora che dall'udito. E non più tenuto alla spasmòdica ricerca d'arzigògoli cacofònici o di bellurie neomelòdiche, il compositore si disporrà ad indagare con garbo pari a dottrina quelle fantasmagorìe perpetue come la verde etate degli Dei.
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Sono persuaso che il sentimento dominante l'uomo è l'egoismo (dichiarato o mascherato che sia). Ciò perché la natura, a propria salvaguardia, ha reso l'uomo totalmente assoggettato all'istinto di sopravvivenza, di cui risulta èssere schiavo ogni altro umano istinto.
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A volte, se vuoi rivelarti non hai modo migliore che nascònderti.
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Lo sappiamo bene: ci si abitua a tutto. E non ci sarebbe nulla di più ovvio che abituarci anche ai fùlmini a ciel sereno. Per fortuna il tempo provvede sollècito a rannuvolarsi, consentèndoci d'evitare  la depressione di una nuova noia e di restàrcene così in quella vecchia, consuetudinaria e àtona noia che direi, con paradigmàtico ossimoro, "abitùdine vitale".
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Chi mi assicura che la vita è il bene più prezioso, sono propenso a ritenere che non sappia il significato della parola "vita".
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Si dànno casi non infrequenti in cui non crèdere in ciò che si scrive sia la condizione indispensàbile per èssere creduti dal lettore.
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Voici mon école: Democritos, les Sophistes, Lucrèce, Montaigne, Spinoza, Voltaire, d'Holbach, Kant, Hume, Nietzsche, Heidegger et Sartre.
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 E' stato autorevolmente e verisimilmente affermato che "gli italiani àmano l'Italia, e che ben pochi fra loro cambierèbbero patria". Tra quei pochi ci sono io.
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Apprezzo le persone per bene. Apprezzo assai meno quanti fanno il bene soltanto perché inetti a fare il male.
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Se il problema fosse, come giùdica la classe polìtica, la crisi econòmico-finanziaria della vecchia Europa (e dell'appendice americana), esso racchiuderebbe in sé soluzioni a medio e lungo tèrmine.  Penso invece che la civiltà occidentale, esaurite storicamente le funzioni propulsive, abbia imboccato la via naturale del disfacimento, seguendo la sorte e le leggi che hanno segnato le civiltà precedenti... Oppure c'illudiamo che la nostra civiltà sia stata destinata all'eternità?
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Nessun professore, studio o mètodo fà apprendere quanto l'insegnamento.
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 La mia natura, naturalmente improntata a modestia, fà sì che io m'accontenti d'aspirare alla fama senza mirare alla gloria. Sarà forse per tal ragione riguardosa che ho sempre prediletto sugli altri il nùmero due. Donde il mio motto: "Meglio secondo a Delft che primo ad Amsterdam".
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Il fine dell'Utopia è la felicità; il fine dell'uomo è, più modestamente, non soffrire. A quest'ùltimo fine non sempre torna di giovamento la mùsica, nota sobillatrice dell'ànima, secondo quanto aveva intuito nell'Antico la riflessione di preclari filòsofi greci.
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 'Na vota la Notte s'imbatté nel Giorno e, sùbito 'ncanaruta, lo cazziò così: "Scrianzato, in 'sta maniera tu m'abbacini!". E 'o Juorno sentendosi utraggiato così ribatté: "Anche tu, Notte, mi fai cecato!"... Serràrono 'a vocca, e si dèttero le spalle. Non s'incontràrono mai più perché la Natura provvide a separarli e a distanziarli tràmite l'Aurora e il Tramonto, comunemente detti Melanconìa.
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Io ce l'ho messa tutta, ma mio malgrado ho sempre dovuto far i conti senza l'oste. Non si è fatto mai trovare: forse perché mi era debitore.
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 Nelle rarìssime occasioni in cui mi càpita d'avvertire in me una sorta d'inquietante impulso all'altruismo, mi adatto di buon grado a ricèvere espressioni complimentose, poiché vedo aleggiare sulle labbra di chi le fòrmula una sottile smorfia di piacere perverso, che non avrebbe mai provato altrimenti.
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 La dimensione dell'Arte e quella della Polìtica talvolta s'oppòngono l'una all'altra in un dissidio insanàbile. Valga di clamoroso esempio l'esperienza stòrica dell'ìtala gente che, lungo i sècoli, ha esemplarmente generato e coltivato il Bello e pervicacemente irriso e misconosciuto il Bene (qui coincidente con l'Utile).
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Sono andato dal mèdico per lamentare un molesto indolenzimento alle gambe. E lui: "Si esèrciti a saltare di palo in frasca". Ho seguito la prescrizione. Sono migliorato, e per di più ho perso il senso d'orientamento.
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Non sono poche le persone che si pìccano di giudicare senza èssere in possesso di un criterio di verità onde giudicare con un mìnimo d'apparente credibilità. Quel ch'è peggio è che molti altri s'arrògano il diritto di giudicare perché crèdono d'averlo in tasca, questo criterio di verità, senza accòrgersi che confòndono la "verità" con una loro personale "certezza". A scanso d'equìvoco sarà bene ricordare che la prima appartiene al mistero per noi imperscrutàbile del tutto; la seconda all'abissale ignoranza dell'èssere umano.
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 Pietosa fine dell'Io, dall'eròico affacciarsi di Cartesio ai miserandi funerali dell'Esistenzialismo.
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L'uomo ha due appigli: la fede e la ragione, che a sua volta ha un appiglio: il dubbio. Ma la fede è cieca, la ragione è zoppa ed il dubbio è notoriamente atroce. Chi dunque avrà la sfrontatezza di prèndersela con un uomo sì gràcile e disorientato?... Semmai c'induca a riflèttere quanto asserito da una diffusa religione monoteìstica: Iddio creò l'uomo a propria immàgine e simiglianza.
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Ascoltare i "Poemi sinfònici" di Richard Strauss e ingozzarsi di melassa fa il medèsimo effetto.
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 Le belle donne? Ha detto Proust: "Sìano lasciate agli uòmini senza fantasia". E le donne intelligenti? Ha detto Baudelaire: "Amarle è un piacere da pederasti". E le donne emancipate? Ha detto Colette: "Non sono donne". E le donne irose? Ha detto Shakespeare:"Sono come una fonte intorbidata, ch'è fangosa, vìscida, immonda, insomma priva d'ogni attrattiva di bellezza". E le donne volùbili? Ha detto Voltaire: "Sono come le banderuole: si fìssano solo quando si arrugginìscono". E le donne ricche? Ha detto Giovenale: "Intolerabilius nihil est quam femina dives". E le donne sincere? Ha detto Anatole France: "Sono sincere quando non dìcono bugie inùtili". E le donne acchittate? Ha detto il Belli: "La donna, fijo, è come la castagna, dicèveno Bertello e Bertollino, bella de fora, e drento ha la magagna".... Ma, in fin dei conti, sarà mai possìbile sapere che cosa sia la donna? Ha detto Pope: "Nel migliore dei casi la donna è una contraddizione". Ma forse meglio ha in orìgine detto Euripide: "La donna è il peggior dei mali".
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Ogni contrada pròvoca in me il desiderio di raggiùngerne un'altra. Ma ogni altra sùscita in me la melanconìa per quella lasciata.
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 Quando qualche insolente mi domandava a lezione che cosa sia l'Arte, tacevo fastidiato o rispondevo a casaccio con la prima definizione che mi balzasse in testa: attività razionale, espressione del sentimento, capriccio, impegno socio-polìtico, specchio dell'inconscio, proporzione e misura, esaltazione della fantasia, bàlsamo spirituale, eccitazione demònica, sensualità, ornamento, segno tangìbile dell'Assoluto etc... In ogni caso la domanda era, è tuttora e sempre sarà, assolutamente idiota.
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Come può l'uomo dar apprezzabile soluzione ai duri problemi che gli si presèntano se è egli stesso  parte costituente, o precipua, d'ogni problema?
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Immaginiamo il migliore dei mondi possìbili leibniziani, laddove nello spazio di un'alba potrebbe èssere stata fondata da Platone la Repùbblica. Immaginiamo che lì fiorisca l'ìsola d'Utopìa, al centro della quale barbagli la Città del Sole. In un suo chimèrico edificio progettato dall'architetto illuminista Claude-Nicolas Ledoux, ossia il perfettamente sferico "Ricetto per guardie forestali", adornato negli interni, mettiamo, dalle soavità pittòriche di Guido di Pietro, ebbene lì si potrebbe far mùsica. Fare mùsica non soltanto per suggellare la purità dell'incantagione, giacché senza mùsica c'illudiamo che gli accadimenti sìano nòccioli senza frutti, ma anche per rispòndere in maniera consona alle silenti sinfonie delle sfere celesti, di cui fùrono fornite lusinghiere testimonianze da numerosi filòsofi, da Pitagora a Boezio. Se quanto detto accadesse, l'ùnica mùsica cònsona a tanta armonia di cose e finitezza di spìrito, non potrebbe èssere che quella del sommo Salisburghese. Mozart o della perfezione, se per essa s'intenda aristotelicamente quanto è completo in ogni sua componente, quanto non può èsser superiore in eccellenza e quanto ha conseguito il proprio buon fine. Nella mùsica di Mozart c'è perfezione in sé di forma e contenuto, come si diceva una volta. Perfezione del loro rapporto, risolto in unità inscindìbile fuor di patimenti e travagli dell'artista, ma come calma necessità, come un disegno mandato ad effetto dall'andare sempiterno ed infallante dell'universo al proprio ordinato interno. Anche Johann Sebastian Bach è perfezione; ma il tedesco suole guardare la pianta dalla radice, l'austriaco dal fiore.
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Mi piace immaginare che anch'io ragazzino, come Céleste, la governante di Proust, ignorassi che Napoleone e Bonaparte fòssero la stessa persona.
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 La Repubblica platònica contemplava i sapienti (ossia i filòsofi) alla guida della cosa pùbblica. I sapienti, in quanto assurti all'alto officio, èrano "polìtici". L'uomo polìtico tout-court, com'è inteso al presente, risulta èssere una grave riduzione del sapiente platònico, o meglio, ne risulta un usurpatore.
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Quando la notte mi còrico assapòro l'intenso piacere dell'attesa: a breve scomparirò a me stesso.
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 Di norma il mio gusto estètico si è volenterosamente industriato ad aprirsi, talvolta non senza riluttanza in specie nell'àmbito novecentesco, alle più disparate esperienze stòrico-artìstiche della mùsica d'arte, tuttavia ha sempre ricalcitrato al cospetto vuoi della sfrontatàggine del Verdi "di galera" e "popolare", vuoi dell'acrìtica magnificazione che n'è stata fatta.
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Mi piace la tenerezza purché non oltrepassi la misura brahmsiana. Sono un pudico.
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Conversavo con una giovane signora che parlàndomi arrossiva di continuo. Ad un punto della conversazione mi sono stizzito e le ho detto con tono quasi risentito: "Amàbile amica, non c'è bisogno alcuno che Lei sottolinei tutto ciò che dice: lo capisco perfettamente".
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Dopo la lettura di un "clàssico", anche se l'avrò in buona parte dimenticato, la mia sensibilità ne resterà segnata a vita, così come ciò che è passato mi svanisce dalla memoria, ma sovente affiora un nuovo "io", generato da quel passato per me non più esistente.
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 I) 'E primm'acchitto s'appìcciano le mene della Carne, et voilà la Ménade de le désir danser la Sardane éternelle de l'Amour fou....
II) Poi alle vertìgini della fosca Vampa succede la deposizione della Carne, e il Desiderio ormai grave d'anni e obnubilato spira inavvertitamente fra le braccia dell'Abitùdine.
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Dio è una parola. L'esistenza di una parola.
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Che agli altri non interessi punto quanto vo scrivendo mi lascia indifferente. Per contro, mi dispiace un po' che non interessi neppure a me. "Ma allora perché scrivi?" mi si potrebbe domandare. "Per non pensare" risponderei. Ché se scrìvere è vano, pensare è fatale.
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 ...mi piace in ùltimo imbèvermi di silenzio. Quel silenzio nel quale sopravvive tutto ciò che non può èssere vituperato dalla parola, intorbidato dal pensiero, rattristato dalla mùsica. In quel silenzio non mi ferisce ripulsa, e come arenaria si sfalda il tòssico corteggio dei dubbi, e un'arcana quiete mi colora di sé gli ùltimi rimpianti. In quel silenzio dove si confòndono in un'ùnica sorte capire e non capire.
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Patria mia è il mio fùmido cuore, popolato dai fantasmi del suo sommerso bàttito.
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All'Inferno scòntano la sempiterna e inenarràbile pena geni sublimi, di fronte ai quali l'umanità sempre s'inchinerà ammirata e grata.
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Divàmpano più ènfasi e rettòrica nella mùsica dello "stùpido" Ottocento che in quella degli altri sècoli, dal Canto gregoriano ai giorni nostri.
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Noi non comunichiamo. C'indoviniamo.
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Ogni risveglio mi è Natale, ma ogni tramonto Passione.
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 Chi è disposto ad inseguire la felicità sappia che il prezzo da pagare, non appena raggiunta, sarà la melanconia.
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Conosco persone che dietro l'urbanità delle maniere occùltano una micidiale aridità.
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 Diffido delle ànime ecumèniche. Somigliano a quegli empori affollati dove trovi di tutto ma non vi compri niente. Sono ànime senza porte: vi puoi entrare da ogni parte, ma da ogni parte puoi precipitarne. Meglio soli che mal miscelati.
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Come un Dio mi òccupa uno spettro. Che come un Dio ignoro e gli dò vita.
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Le costruzioni dell'ànima mi si sgrètolano al primo àlito di vento, se intraprese senza il fero nulla osta della realtà.
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La lenta e maestosa agonia dell'Europa galvanizza quanti, affetti da monotonia, ambìscono ad assaporare i frutti delle grandi svolte stòriche.
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 Quando mia madre venne meno, il desiderio di lei lo commisi alla rinuncia. Osservando nello scòrrere del tempo lo stato di quella rinuncia intuii che ogni grande rinuncia tende a metamorfosarsi in un desiderio cristallizzato.
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Amici, stàtene certi: se perforo la mia ànima nel punto giusto, ne zampillerà, come petrolio, un'allegrìa ubriaca!
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Se l'uomo fosse dotato di lìbero arbitrio, secondo assevera taluno, la sua condotta sarebbe da tenere per la cosa più ridèvole dell'universo mondo.
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Se guardo indietro, posso affermare che mio maestro ideale, bùssola spirituale, punto di riferimento della mia vita intellettuale, è stato, ed è tuttora, Voltaire. Sorta d'evangelo làico.
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 Non amo quel Paese nel quale sono nato per dispetto di una sorte maligna. Non amo quel paese dove allìgnano da sècoli la corruzione, la bècera drittaggine, il gretto tornaconto, il particolarismo. Non amo quel Paese dove il senso dello Stato è affatto latitante non meno della coscienza nazionale e del senso cìvico. Non amo quel Paese dove la classe polìtica è adempiuta espressione di una società egoista, pronta alle làcrime di commozione ma sùbito appresso al conseguimento, ad ogni costo, dell'interesse personale. Non amo quel Paese dove la diffidenza governa i rapporti sociali e dove la risata suole sostituire la riflessione. Non amo quel Paese dove la salute dei cittadini, l'istruzione pubblica, la ricerca scientìfica, l'arte sono argomenti marginali cui lo Stato non dèdica precipue risorse. Non amo quel Paese metà del quale è condizionata dalla criminalità organizzata, spesso collusa con il potere polìtico e amministrativo. Non amo quel Paese che ignora volutamente l'ideale democràtico della laicità dello Stato. Non amo quel Paese il cui motto sembra èssere: "Tutto cade sotto il dominio del compromesso". Non amo quel Paese dove la morale è sostituita dal moralismo,  la progettualità dall'improvvisazione, la legge dal cavillo, il dovere dalla tolleranza, la tolleranza dal menefreghismo, la religione dal pregiudizio. Non amo quel Paese dove, nell'andare delle èpoche e delle civiltà, la dominazione straniera è stata accettata passivamente, quando non sollecitata e gradita....
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Se avessi il secondo figlio maschio gli metterei nome "Sette". Mi piace la forma del nome, con quella "S" iniziale che prende di un elegante geroglìfico e insieme di un senso slanciato e ascensionale della visione del mondo (ciò che i tedeschi notoriamente dìcono "Weltanschauung"). A cui sèguono le "e" e le "t", in successione rimata di ABBA. Le due "e" estreme, che sono, tra le vocali, quanto di più raffinato e sensuoso vi sia; e le due "t" centrali, che rècano al nome dell'uomo un'immàgine di autorèvole solidezza e tenace equilibrio. Ma "Sette" chiamerei il figliolo anche per i significati multànimi che comprende in sé il nùmero. Vediamo di sèguito.
Sette sono i giorni della settimana: da lunedì a domènica, ed occuparli tutti è senza dubbio un òttimo  punto d'avvìo. Si consìderi inoltre che sette fùrono i Sapienti dei sècoli VII e VI (a. Ch. n.), le cui ponderazioni morali tradotte in fulminee sentenze costituìrono le fondamenta del filosofare della civiltà greca, di cui tutti siamo debitori (e, peggio per noi, traditori): voilà Talete di Mileto passionato d'acqua, Biante di Priene, Pittaco di Mitilene, Solone legislatore in Atene, Cleobulo di Lindo, Chilone di Lacedemone e Mirone Cheneo....
  Dalla sfera filosòfica a quella teològica: ancora sette sono i sacramenti posti a base dell'iniziazione e della vita cristiana, dalla nàscita alla morte: Battèsimo (i bimbi che dovèssero morire prima d'aver ricevuto il Battèsimo, la Chiesa li commette alla divina misericordia); Crèsima (o Confermazione ovvero Unzione, ad irrobustire la Grazia battesimale); Eucarestìa (Sacramento prìncipe, istituito da Gesù il Giovedì Santo); Penitenza (da porre in èssere, volendo, anche con digiuni, orazioni e lemosine); Unzione degli infermi (gli infermi sono per qualche arcana via legati al peccato, e tuttavia grazie a questo sacramento si avvicìnano alla passione di Cristo in croce; ed a taluno è conceduto ricuperare fin la salute); Ordine sacro (episcopato, presbiterato e diaconato: tre gradi riservati ai battezzati di sesso virile); e Matrimonio (indissolùbile, stante che il marito ha da amare la moglie come Cristo la Chiesa). Sette le virtù, tra teologali e cardinali. Le prime tre sono Fede, Speranza e Carità. Le seconde quattro, già note all'antichità greca, Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza. Onde colui che portasse il nome "Sette" sarebbe indotto ad opinare, non senza fondate ragioni, che tanta manna di virtù disparate potrebbe all'uopo trattenerlo sulla retta via, quanto meno non farne un bischeraccio, un malandrino tùmido di vizi (che sono pressoché l'esatto contrario delle virtù).... Sette pure i "dormienti di Efeso" vìttime delle persecuzioni cristiane nella metà del terzo sècolo p. Ch. n.: i santi Costantino, Dionisio, Giovanni, Massimiano, Malco, Marciano e Serapione, di cui tràttano, fra le altre fonti, il "Martyrologium Romanum, Gregorio di Tours e Paolo Diacono nella "Historia Langobardorum". Ancora, sette i dolori patiti da Maria addolorata, o Addolorata tout-court, o Mater Dolorosa: l'annuncio da parte dell'anziano Simeone dei dolori che ella dovrà sopportare, la fuga con Giuseppe in Egitto per salvare Gesù, la pèrdita di Gesù dodicenne nel Tempio, l'incontro di Maria e Gesù lungo la via crucis, Maria ai piedi di Gesù crocefisso, Maria con Gesù morto tra le braccia, Maria accanto a Gesù sepolto. Né sia trascurato che sette sono le parole di Gesù in croce. E che sette sono i doni dello Spìrito Santo, ossia sapienza (ben rammentando che "la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio", giusto San Paolo), intelletto (quel bene che se lo perdi sono dolori, giusti i versi 17-18 del terzo Canto del dantesco "Inferno"), consiglio, fortezza, scienza ("Scientia et potentia humana coincidunt", a parere di Francesco Bacone), pietà (attenzione però: "non si può piangere per tutti, è al di sopra delle umane forze: tocca scegliere", Jean Anouilh) e timor di Dio ("Chi teme il Signore non ha paura di nulla", cfr. Ecclesiaste, 34, 14)....
Dallo scomparto teològico-evangelico si passi al linguaggio dei suoni, e si vedrà che sette sono altresì le note musicali  monosillabicamente denominate: do, re, mi, fa sol, la, si. Se con queste note Bach ha composto un capolavoro quale la "Messa in si minore", Beethoven la "Settima" e Wagner la "Tetralogia", è pur vero che esse non sono state sufficienti (nel nùmero,  nella sostanza) ad evitare infinite bùfale ad infiniti orbi di talento, seppure gli stessi avèssero oppresse le magnìfiche sette con una serqua di diesis, doppi diesis, bemolli e doppi bemolli... E pure sette sono le chiavi (nell'insieme dette setticlavio) nelle quali collocare le note del pentagramma: basso, barìtono, tenore, contralto, mezzo soprano e soprano (me ne sono dimenticata una).... Ancora: quante se non sette le maraviglie del mondo? Tali giudicate nell'Antico la piràmide di Chèope a Giza (l'ùnica "meraviglia" sopravissuta fino ai nostri dì); l'immane statua del colosso di Rodi nell'omònima ìsola; il tempio d'Artemide ad Efeso (Turchia); il faro d'Alessandria d'Egitto; il mausolèo di Alicarnasso (Turchia) ov'è sepolto Mausolo il sàtrapo; la statua di Zeus scolpita da Fidia ad Olimpia; i giardini pènsili di Babilonia, ove la reina Semiràmide, assidua ciulatrice e sottile politica, andava cogliendo rose rugiadose in ogni stagione dell'anno.... Il "sette" nel macrocosmo ma pure nel microcosmo: ordunque, i sette nani dei fratelli Grimm: Màmmolo il soave, Cùcciolo il calvo, Bròntolo l'incazzato, Eolo il raffreddato, Dotto l'addottrinato, Gòngolo il beato e Pisolo l'appennicato. E nel nome dell'ipotizzato figliuolo ecco, con un balzo in alto, i sette sigilli dell'Apocalissi, in verità affatto esotèrici e allora meglio pensare alla tragedia "I sette contro Tebe" di Eschilo che fortemente conturbava Goethe, o al poema didascàlico de "Le sette giornate del mondo creato" che Torquato Tasso derivò dal poema "La settimana" del poeta ugonotto francese Guillaume de Salluste signore di Bartas, o a "Le sette làmpade dell'architettura" scritte in un inglese ipersquisito dall'ineffabile John Ruskin, o a "I sette pilastri della saggezza", contributo alla storia degli àrabi, di Thomas Edward Lawrence...
Con un altro balzo ardimentoso trasferiàmoci sui sette colli su cui fu costruita la mediorientale, dilombata e irònica capitale dello Stivale, ossia Palatino (il primo ad esser popolato), Aventino (dove si manifesta il proprio fiero dissenso), Campidoglio, Esquilino, Viminale (dove s'esèrcita da lunga pezza l'occhio industre delle forze dell'òrdine pùbblico), Quirinale (dove sventola il tricolore presidenziale della Repubblica) e Celio (ospedaliero). E sopra i detti sette colli quiriti, su su nel silente bleu, le sette stelle dell'Orsa maggiore: Alioth (la principale), Dubhe, Merak, Phecda, Megrez, Mizar e Alkaid.... Per nulla trascuràbili le sette (o dieci) tremendìssime piaghe che Iddio inflisse agli egizi dèditi ad aspreggiare gli israeliti: l'una peggio dell'altra come narrato nel Libro dell'Esodo: tramutazione dell'acqua in sangue; infausta invasione di rane, zanzare, mosconi e cavallette; morìa del bestiame; ùlcere sul bestiame e sugli èsseri umani; grande gràndine et tetre tènebre; immisericorde morte dei primogèniti maschi....
Torniamo a noi. Sette i lunghi e travagliosi anni, dal 1756 al 1763, della guerra che invase l'Europa oltre che l'Amèrica del Nord e l'Asia, e vide schierata la vincitrice Gran Bretagna alleata alla Prussia contro la coalizione di Francia, Austria e Russia... E per finire, e sovrattutto, sette sono i veli di cui gradualmente la fatalona e perversa Salomè alleggerì la propria virginale carne nel corso dell'omònima danza al fine d'ottenere da Erode, in atto d'assai licenzioso spettatore, la capa decollata di Giovanni il Battista. Che poi l'obbrobriosa ottenne servita su un argenteo vassoio (o guantiera), ahilei! (e ahilui!)....
 Che più vuoi, potenzial figlio mio Sette?




martedì 2 ottobre 2012

Secondo quaderno di considerazioni sparse

Ho rinunciato alla vita nell'al di là. Mi è bastata quella nell'al di qua.
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Soltanto nel concetto di Dio coesìstono il concetto di èssere e il concetto di non-èssere. Soltanto di Dio posso dire: "Se avesse voluto esìstere".
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Il saggio pone alla fine di ogni affermazione il punto interrogativo?
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 Dal momento che affermo il soggetto non posso più negarlo nel predicato. La frase "egli non esiste" denuncia una madornale contraddizione. (Parafrasando Wittgenstein: su ciò che non esiste bisogna tacere).
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Perché mai la vecchiaia si trastulla a sdrucire il corpo ed a sgualcire l'ànima?...Presto, accorrete, chirurghi plàstici e psicanalisti, novelli Mefistòfeli, correte a porvi riparo. Rammendate il corpo, e sia l'ànima, al presente intorpidita, almeno intorbidata.
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 E' imputàbile alla limitatezza o impotenza intellettuale dell'uomo la Storia intesa come perenne "Ricaduta"? Se la Storia non è tale come definire il permanente oltraggio che l'uomo fa alla propria sbandierata dignità? Oppure non si tratta d'oltraggio bensì del frutto guasto della stessa sostanza dell'uomo, come a dire Natura?
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Comporre, mestiere oggi travaglioso e acclive: quasi quanto criticare il composto. Un misto d'azzardo e reità. Una ceffata, un'utopia. Ché la mùsica contemporanea pare aver infranto l'antico patto con la Fortuna, ed i musicisti strèttone un altro con il Caso. Un tempo l'òpera sopravviveva al suo autore, ora è l'inverso. Ai più la mùsica della seconda metà del Novecento non piace punto: pare che abbia in seno un cuore estinto. Fiduciosi, talvolta ostinati, gli autori contemporanei obièttano: "La nostra mùsica non garba perché poco ascoltata". Ma però ai più, detta mùsica, più tu gliela largisci e meno gli piace. Che fare? Dovrebbe forse il compositore, registrata la straziante disfatta della fruizione, affidare il suo riscatto all'intelligenza dei pòsteri che, per norma storicamente comprovata, ne capìscono di più degli antenati? Oppure, cospàrsosi il capo di cènere, dovrebbe chiùder bottega e tacersi tout-court? Il che equivarrebbe alla "morte della mùsica": anzi, a quella "morte dell'arte" preconizzata da Hegel... Ma no, ma no. Viva la mùsica contemporanea. Nè dismèttano, quanti vi si dèdichino, di mestare i suoni con la mèstola della santa vocazione. E un giorno o l'altro affiorerà all'orizzonte, dall'operosa semenza, il novello Rossini, il novello Schubert, in grado di superbamente resuscitare l'assentimento plebiscitario dell'universo musicòfilo, ne siamo certi. Sì, un giorno o l'altro. Probabilmente "l'altro".
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La mùsica di J. S. Bach è tra i maggiori sponsor di Dio.
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Se "Classicismo" è rispetto delle proporzioni, equilìbrio di forma e contenuto, rìgida osservanza dei cànoni... quella di J.S. Bach è l'espressione più alta e adempiuta del Classicismo musicale, e non già del Barocco secondo stancamente si ribadisce.
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Fulminea storia della mùsica. Poste le premesse da Palestrina, Rameau ha formulato le regole, Bach le ha assolutizzate, Mozart mondanizzate, Beethoven contestate, Chopin depravate, Wagner distrutte, Schoenberg sostituite, Berg rimpiante, Stravinskij sbeffeggiate, Bartòk folklorizzate. E dal secondo Novecento non più règole, la defùnta mùsica.
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Il dubbio sta sopra la certezza come la statua sopra il piedistallo.
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 La Repùbblica platònica contemplava i sapienti (ossia i filòsofi) alla guida della cosa pùbblica. I sapienti, in quanto elevati all'alto ufficio, erano "polìtici". L'uomo polìtico tout-court, com'è inteso ai giorni nostri, risulta èssere una grave riduzione del sapiente platònico, o, peggio, ne appare un usurpatore.
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M'insospettìscono le persone virtuose da quando l'esperienza mi ha dimostrato che la pràtica delle virtù si rivela sovente un peccato di superbia.
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Se osserviamo con scrupolo noteremo che a propria salvaguardia la natura ha reso l'uomo del tutto assoggettato all'istinto di sopravvivenza, di cui è schiavo ogni altro istinto umano. Di conseguenza il nostro sentimento precipuo non può non èssere l'egoismo, dichiarato o mascherato che sia.
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Talete e Ippone di Reggio (o, secondo altre versioni, di Samo, ovvero di Metaponto) sono pienamente convinti che l'ànima è acqua. Anch'io. Oh! che squisite freschezze mi zampìllano dentro.
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La società pensa a se stessa ignorando l'individuo ancor più di quanto l'individuo pensi a se stesso ignorando la società.
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Quando la notte mi còrico assaporo l'intenso piacere dell'attesa: da un momento all'altro scomparirò a me stesso.
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Si dice che il saggio scelga la via di mezzo, ove notoriamente alberga la virtù. Anch'io la percorrerei, se sapessi dove si trova il "mezzo"... Una volta tutti si credèvano che la terra fosse nel bel "mezzo" dell'universo. Guarda te che brutta fine ha fatto questa rincuorante teoria.
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L'ìnfida Sorte e la cieca Legge mi fècero italiano, ma il mio cuore m'ha fatto olandese. Cristo nacque ebreo, ma nel corso degli anni divenne cristiano in base a ciò che disse. Io che debbo dire?
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 La maggior parte degli uòmini non è affatto disposta a mettere in forse o a sacrificare i propri beni materiali per il conseguimento o per la salvaguardia della libertà. Molti di loro s'affatìcano da mattina a sera provvedendo al benèssere, o al miglioramento econòmico, di sé e della propria famiglia. Non di rado dichiarano di "non aver tempo" per "interessarsi alla polìtica", oppure assùmono nei confronti di questa un còmodo e teatrale atteggiamento di scetticismo: in realtà non vògliono èsserne coinvolti. Sempre alla crìtica o alla protesta o alla formulazione di un progetto civile e sociale antepòngono quell'indifferenza che lascia loro aperte le porte del quieto vivere. Questi uòmini vìvono a loro agio anche sotto le dittature più spietate, che a loro volta vèdono in costoro il modello del cittadino esemplare.
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Come nello spazio còsmico, per quanto ti muova a cavallo di un focoso "neutrino", ti trovi sempre nel centro, così io non riesco ad escire da me per vedere non dico le rimote catene de' monti ma i dimessi paraggi.
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Nel colmo della notte, quando la quiete sussurra al silenzio e l'antica congrega delle stelle è intenta a modellare l'interminato buio, il sottoscritto russa.
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Alcuni intèrpreti prèndono in esame la mùsica di Mozart come se il compositore salisburghese fosse vissuto in època romàntica. Una qualche vaga giustificazione ce l'hanno... Quando Mozart compose "Don Giovanni" Goethe aveva già scritto "I dolori del giòvane Werther" e lo "Sturm und Drang" era già sorto da diciassette anni.
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 La cifra dominante in Mozart risiede nella facoltà di rèndere immediata la corrispondenza tra pensiero e suo oggetto. E ciò vale sia da un'angolazione estètica idealìstica, ove l'oggetto si risolve nel soggetto, sia da una materialìstica ed empìrica, ove i due poli sèrbano autònoma fisionomia. Come per Hoelderlin, anche per Mozart la realtà è "poètica" e manifesta la propria natura e le proprie ambigue contraddizioni nell'espressione del soggetto, il quale se ne appropria e nel contempo le solleva a superiore pacificazione. Da dove non più si distìnguono i confini tra i profondi contenuti della coscienza mozartiana e la trascendenza di una "Forma" sì pura da confòndersi con il "Gioco". Da qui lo stòrico dualismo interpretativo tra un Mozart emblema dell'apollineo, e un Mozart che pur nel suo lucore fà drammaticamente trasparire la sofferta materia dell'esistenza. Chi si accinga a tradurre in vita di suono l'universo del Salisburghese deve, comunque, offrire una chiave di lettura esatta ed icàstica, poiché altrimenti il mistero della poesia sarebbe non tanto mortificato, come accadrebbe nel caso d'altri compositori, ma sprofondato in una deprimente banalità. Per tale motivo Mozart è l'autore più arduo da affrontare. Per l'intèrprete sono in agguato, da un lato, il gusto narcisìstico del ricamo salottiero e dei "menus plaisirs", dall'altro l'incolta e volgare trasposizione nei prematuri ardori o nelle penombre di matrice ottocentesca. E peggio che mai, c'è il rischio dell'àrida ripetizione scolàstica, latitanza dell'intùito sotto la stèrile correttezza formale dell'esecuzione.
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Quand'ero giòvane avrei avuto tante cose da dire ma non sapevo "come" dirle. Anche oggi che giòvane non sono più avrei tante cose da dire ma non so "quali" sìano.
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La vita è troppo breve per sprecarne il tempo a lèggere, vedere, ascoltare le òpere dei "minori" o addirittura dei "mìnimi". Taluni confòndono l'aggiornamento con la cultura.
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 Per evitare che bontà si sovrapponga a bontà con il risultato punto lusinghiero di neutralizzarsi a vicenda, intervallarle con le cattiverie.
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Sogno ad ora ad ora di non èssere in grado d'avanzare, d'èssere impedito nel perseguimento di un bene indecifrabile: un luogo, una persona, un'entità. Nel marasma di un volgo soffocante le mie gambe quasi paralizzate si lìmitano a minùscoli, esagitati scatti verso l'agognato obiettivo. Una sorta d'ossessione.... Però al risveglio mi sento confortato dal pensiero d'aver anch'io, dunque, il diritto d'èssere considerato un uomo, se "uomo" signìfica dannarsi ad una meta che ha nome "Nulla".
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 Mi si para dinnanzi un gendarme corpulento e truce, i baffoni di pece spioventi, ossuto nel grugno, un cipiglio allampanato, nella mano il revolver puntato contro di me. Mi urla: "Sono il senso del dovere".
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Notava Wittgenstein che la melodìa mendelssohniana manca di "coraggio".
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Non v'ha dubbio: c'è qualche cosa che non funziona nella natura: come se fosse affetta da un morbo patògeno vendicativo. Altrimenti come spiegarci che dalla nàscita alla morte non facciamo altro che vìvere?
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Attrazione. La ragione sta alla follìa come la "sensìbile" alla "tònica".
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 E' affatto insufficiente il nùmero dei luoghi comuni di cui dispone il linguaggio verbale per gareggiare con i luoghi comuni dell'esistenza.
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 Il fine d'ogni intèrprete è volto a rèndere quanto più possìbile eloquente ed immediata l' "immàgine" interiore di un campo sonoro. Partècipano a ciò l'intelligenza e la sensibilità", in un delicatìssimo rapporto d'equilibrio: l'intelligenza del testo - nell'accezione primaria del tèrmine : "intus legere", lèggere dentro - operazione eminente della "cultura"; e la sensibilità nel tradurre il testo medèsimo in espressione musicale, che è operazione guidata dal gusto non meno che dall'intuizione. Quando un interprete non è in grado d'armonizzare le due suddette e complementari dimensioni fallisce nell'intento che gli è proprio, sì che la mùsica giunge all'ascolto snaturata e ambigua. Se l'intelligenza del testo non è sorretta dalla sensibilità soggettiva ne sorte un'interpretazione dottamente filològica ma inerte e priva dell'animazione del "soffio poètico": si ha erudizione, cosa affatto diversa dall'arte. Per contro, se la sensibilità non è confortata dalla preliminare anàlisi e dalla "inquadratura" stòrica del testo si ha l' "irrazionale", destinato a identificarsi in un deteriore sensismo, in arabesco emotivo fine a se stesso. Tertium non datur.
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Beato il cieco che non vede la meta rispetto allo stolto che si distrugge a conseguirla.
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Insegnava Ugo Spirito, mio maestro di filosofìa teorètica, che vi è una falsa totalità, che è quella della somma, ed una vera totalità, che vive implicitamente in ogni particolare: ed è proprio di ogni particolare tèndere all'universale. Ho ripensato a questa teoria ascoltando "Tristan und Isolde" di Wagner, avendo conferma di come il capolavoro wagneriano incarni in sé, in ogni cèllula musicale, in ogni battuta, in ogni trapasso cromàtico, la sìntesi ideale della sua realtà poètica. Sotto tale profilo il "Tristano" è fra i paradigmi più emozionanti dell'affermazione dell'universale nel particolare, e della presa di possesso del primo da parte del secondo. Da qui la sua ineffàbile bellezza: dal rifràngersi delle sìngole e filiformi intensità melòdiche, dei febbrili flussi armònici, degli èmpiti vocali, nella struttura generale dell'òpera, che tutto avvolge e aderge a vibrazione di luce estàtica.
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Se leggi una poesia o un romanzo in traduzione è come se ti beassi di un'ubertosa sciantosa che ti negasse "la mossa".
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Dio ha creato l'uomo. L'uomo ha creato l'arte. L'arte ha messo il frac a Dio.
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Chi può negare che il dubbio più sùbdolo e radicale inerisca alla sfera della Fede? In vero, chi è avvezzo a dubitare di tutto si adagia presto sulla pacata constatazione del proprio stato. Ma chi è investito dal dubbio impreveduto e metafìsico è colto da un'apprensione intolleràbile e trascinato sulla soglia di un bàratro vertiginoso. Suo è il verace e atroce ignorare.
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Hendecasyllabe. Médiocrité, portrait de l'humanité.
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Talvolta il compromesso risulta figlio obbediente della ragione e padre snaturato della corruzione.
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Non potevo più procrastinare la vìsita in considerazione delle preoccupanti condizioni del mio stato di salute. Così sono corso dal dentista. Che m'ha cavato l'ànima ormai cariata e scollata dal corpo, e l'ha sostituita con mùsica.
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Perspicace colui che vive nell'ovvio e non disdegna il banale.
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A chi mi loda o biàsima per ciò che penso e faccio raccomando caldamente d'astenersi dal giudicarmi in futuro, stante che nel bene come nel male non sono io l'autore di me stesso. Non èsito a confessare che se fossi dipeso da me, sarei ora l'èsito assai armonioso della combinazione e fusione di quattro elementi: il ragionare iconoclasta di Gorgia da Lentini, l'icasticità fiammeggiante di Voltaire, la mùsica trascendentale di Bach e il segno porcellone di Georg Grosz.
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Pesca a casaccio le parole sul dizionario e accòstale l'une all'altre, fino a che non assùmano un significato qualunque... Può darsi che tu non abbia mai pensato, detto o scritto cose così sorprendenti e acute come quelle zampillate dal puzzle.
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Una società senza ideologie - come oggi presume d'èssere la nostra - sarebbe come una religione senza teologia.
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 Georg Trakl, il gran poeta maudit austrìaco, scrive nel 1910 il dramma per marionette "Blaubart" (Barbablù). L'antica fàvola di Charles Perrault, ripercorsa in due sècoli da letterati e artisti secondo moltèplici angolazioni interpretative - da Wilhelm Grimm a Maeterlink, dai fratelli Jacob a Tiek - è inghiottita nei tùrbini demonìaci dell'Espressionismo. All'età di ventitrè anni, Trakl è già disfatto dalla droga e dall'alcool, ossessionato dall'affetto incestuoso per la sorella minore Grete. Scrittore rivoluzionario, figlio notturno di Hoelderlin e di Novalis, e ancor più figlio delle polìcrome sinestesìe di Rimbaud, egli è cantore di devastazioni spirituali ma teso altresì ad ideali di mìstiche palingènesi, definito "il solo vero clàssico della poesia tedesca del Novecento". Tale poèta incendia la fiaba di Perrault in uno spàsimo di crudeltà nel quale il delirante protagonista confida Elisabette, sposa-vìttima, il proprio credo: "Odio, putrèdine e morte attìzzano il piacere" mentre la luna ubriaca rende lascivi gigli e salamandre... A fianco dei due soltanto mimi e altri due personaggi a spopolare il luogo dell'azione: un vecchio e un ragazzo: epifanie iniziali, proiezioni disperate di un Barbablù senza età: eterno come il Male da cui è divorato e vivificato. Il dramma è una folgorazione lìrica, specchio di sofferenza e corruzione sublimate nella densità della parola poètica. La voluttà dell'inferno e l'appetito di un paradiso negato desolatamente si congiùngono. Dice il vecchio a Barbablù: "Non ho mai visto, signore, uno al mondo che fosse come voi torturato": è Trakl che fùstiga e commìsera con  altero narcisismo se medèsimo.
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Mi disistimo senza èsserne all'altezza.
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Il fine ùltimo d'ogni uomo dovrebbe èssere la conquista di quella mìnima dose d'intelligenza che gli consentisse di prender coscienza della propria lenitiva stupidità.
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Se questo, così com'è, appare il migliore dei mondi possìbili - secondo asserisce l'ottimismo razionalìstico della Teodicèa leibniziana - opino che mente umana non sarebbe in grado, neppur lontanamente, d'immaginare gli abissi d'orrore che racchiuderebbe, non già il peggiore, ma un mondo appena appena mediocre... Si benedica pertanto la Fato per la benigna sorte elargita agli  èssere umani. (Da "Manuale di consolazione ad uso delle genti del Corno d'Africa").
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Ovviamente di ciò che non è non si può predicare nulla. Mi domando: "E di ciò che non è più?"
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Conoscevo un'aristocràtica famiglia torinese che quando si riuniva per affrontare questioni di natura pecuniaria soleva usare la lingua francese: come a nobilitare in qualche modo il vilesco argomento... Invece io, se mi sono poste questioni che inerìscono al mio èssere, la parola la stràngolo direttamente sul nàscere.
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Tra tutte le convenzioni la più superba e fràgile è la morale.
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Qui va écrire un petit livre sur la crise de la tendresse de Brahms à Fauré?
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 Frequentai per breve perìodo un tizio bizzarro e dal caràttere introverso, che in qualunque  frangente della vita si mostrava più traccheggiante - per usare una terminologia propria del linguaggio armònico - di un "ritardo della nota fondamentale". Non m'andava punto a garbo, quel tizio, benché il "ritardo" in mùsica mi abbia quasi sempre mandato in brodo di giùggiole: come un concùbito dall'acme ritardata affinché il piacere sia intenso quanto la folle passione che ha promosso l'atto copulatorio.
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Affinché non invecchi troppo presto (come aveva già constatato Aristotele), la riconoscenza è bene protèggerla in una guàina di silenzio.
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Coraggio! Non è vero che non si conosce tutto ciò che esiste ma è vero che esiste solo ciò che si conosce.
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Di fronte all'enigma dell'oggetto artistico di "avanguardia" anche l'attività dell'osservatore diviene  "enigma". Il concetto stesso di "comprensione" dell'arte contemporanea si apre ad una così intricata molteplicità e contraddittorietà di significati, non soltanto estètici e gnoseològici ma  sociològici e ideològici, da affondare nell'arbitrio. Seppur s'atteggi rassegnato al solipsismo, l'artista pare attendere con ansia la "caduta" del fruitore nell'indecifràbile ambiguità in cui lo stesso autore già vive ed opera, e verso cui la storia del linguaggio artistico insieme alla progressiva crisi del "sistema umanìstico" ha ineluttabilmente sospinto l'arte (ovvero la drammatica metamòrfosi di essa). Forse non si può "comprendere" - si usa qui il tèrmine nell'accezione generalmente intesa dalle estètiche filosòfiche - l'arte d'avanguardia o sperimentale perché essa non nasce dallo sviluppo, sia pur contestato, di un còdice linguìstico, ma da una norma che l'autore crea per distruggere: lo sperimentalismo sperimenta e nega se stesso, e il cerchio fulmineamente si chiude, prima che il fruitore abbia avuto modo di  razionalizzare e tradurre in emozione l'operazione, definirne la dinàmica, còglierne i nessi e i contenuti. Pertanto il problema dell'avanguardia, e in particolare delle sue sìngole òpere, non può porsi in tèrmini d'arte o di non arte per l'inattuabilità del giudizio estètico che è diretta conseguenza della decifrazione del linguaggio. Ecco perché l'arte d'avanguardia si offre ai più - ironìa della sorte - mediante un pulviscolare e romanticìssimo "impressionismo", e il pubblico assente o dissente intorno a ciò che non può giudicare. L'angoscia dell'arte contemporanea è la sua solitùdine, e la solitùdine è morte.
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L'èssere umano è non meno sgradèvole che compassionèvole.
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 Da giòvane solevo riflèttere. In età matura mi lìmito a rimuginare.
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Sono in molti ad esprìmere un giudizio estètico sulle òpere di una plurisecolare civiltà musicale avendo a metro di riferimento e supremo ideale il linguaggio melòdico-armònico del Sette-Ottocento. Similmente a quei turisti che all'èstero giùdicano le cucine locali in rapporto a quella patria. Vero si è che adeguarsi alle peculiarità culinarie d'oltre confine non signìfica elogiarle ad ogni costo, bensì evitare goffi confronti con la propria. Così per la mùsica d'avanguardia del secondo Novecento: è insensato sentenziare su una pàgina di Stockhausen o di Boulez qualora si identìfichi il "Bello" assoluto con "La Passione secondo Matteo" di Bach. Chi giudicherebbe "Ossi di seppia" di Montale in rapporto a "Le Grazie" foscoliane?
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Non c'è cosa al mondo che possa darmi ristoro quanto il silenzio della mente dopo l'agognato vanire del suo tràffico caòtico.
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Come ogni sapere sbocca in una nuova ignoranza, ogni aspettativa che si realizza è destinata a sboccare nell'indifferenza o nella delusione.
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Molte belle donne avrèbbero il viso meno devastato dal vaiolo di quanto ce l'àbbiano dall'ottusità.
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Ci sono òpere d'arte che si àmano in modo acrìtico e istintivo: quella specie d'amori a prima vista (o ascolto o lettura) che ci accompagnano lungo la vita, o che hanno in sorte d'identificarsi con circoscritti perìodi di essa. Altre òpere invece che si rispèttano, cui si rende omaggio e deferenza; ma la loro grandezza non ci commuove più della caduta dell'Impero romano... Fatta la constatazione, s'aggiunga che non si può stabilire un criterio obiettivo per far rientrare una qualunque òpera nel primo caso o nel secondo. Nè vale il criterio del valore in sé dell'òpera: a chi scrive, per esempio, non è mai piaciuta "La Divina Commedia", ma sempre le "Feste galanti" di Verlaine....
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Il sub tornò in superficie riferendo che al fondo aveva trovato il tòrbido.
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L' "Ottava" di Mahler è così prodigiosamente barocca e rettòrica che quando l'ascolto mi pare d'immergere la faccia in una vasca di panna montata.
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 La Storia dimostra che i valori umani non sono assoluti ma cambiano a) lunghi i tempi b) da civiltà a civiltà c) da individuo a individuo. Ciò che era vero ieri è falso oggi, o viceversa; ciò che è buono qui è cattivo là, o viceversa; ciò che è bello per Tizio è brutto per Sempronio... Si potrebbe azzardare che soltanto il relativismo è assoluto se non si cadesse in patente contraddizione.
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Allitteratio. Nel giuoco delle parti le parti invertite partorìscono paradosso o parapiglia.
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La musica d'arte contemporanea è applaudita da strati sempre più larghi di un pùbblico di gusto pur tradizionale; pùbblico che, invece di ribellarsi a ciò che ascolta, prende gusto se mai a sottolineare il consenso manifestato con l'elogio specìfico delle sintassi linguìstiche e dei mòduli espressivi in uso. E tra le due provocazioni - quella della mùsica e quella della fruizione - a rimetterci sembra essere la prima che, nel plauso sospetto d'ipocrisia di chi la fruisce obtorto collo, mortifica una storica ragion d'essere : l'opposizione radicale e insofferente all'alienato consumo di massa.
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Per taluni la crepagione è un'assurdità solo perché non pòngono mente all'equivalente paradossalità della natività.
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 Non sono le azioni decisive, ma le cose inùtili ripetute tutti i giorni con meccànica indifferenza o con molestia a farci dimenticare la tràgica insulsàggine dell'esistenza. Auspichiamo di vìvere per realizzarci e invece viviamo per sopravvìvere.
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La coincidenza potrebbe èssere un errore di percorso della Necessità.
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 Sono diabètico: il mèdico mi ha consigliato un uso assai moderato dei buoni sentimenti.
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 L'attività più elevata dell'uomo è la Polìtica, intesa al bene della comunità. Dal polìtico, "servitore dello Stato", si esige l'intelligenza ("intelligere") che deriva dal sapere, e la competenza che deriva dall'ùmile tirocinio. Il polìtico non dipende da nessuno, ma nel suo considerare ed operare si avvale del filòsofo, del giùdice, dello scienziato, etc... Il polìtico corrotto o corruttore subisce il bando a vita dalla società.
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 L'esteta è colui che profuma del Bello il Vero. Il Vero è ciò che si vuole. Il Bello è ciò che è conforme non ad un canone ma al Gusto. Il quale è il grado d'immersione della sensibilità nella Cultura. La quale non è sapere i contenuti dei libri ma l'esistenza di questi libri.
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La mùsica strumentale italiana della prima metà del Settecento - da Corelli a Locatelli, da Geminiani a Vivaldi, da Domenico Scarlatti a Tartini, etc... - segnato un primato d'arte in Europa. In virtù dei prefati compositori il linguaggio dei suoni guadagna e cèlebra quell'armonìa fra le parti, quella calibratura dell'effusione espressiva, quel decoro degli accenti che soli erano appartenuti, da prima, alla statuaria greca del quinto sècolo a.Ch.n. e alla pittura del Cinquecento italiano. E' l'età dell'oro della nostra mùsica, il suo apogeo stòrico. Mai più il linguaggio strumentale del Paese conseguirà tale fulgore, anzi sarà poco a poco infeudato, nell'Ottocento, alla fàbbrica del pretenzioso teatro melodrammatico. Sècolo romàntico, smoderata età del sentimento soggettivo, troppo di frequente prona a boriosi salamelecchi introspettivi, quasi ridicolizzata dal tentativo d'assolutizzare l'uomo col codazzo delle sue risìbili e connaturate miserie. S'infrangerà l'antica armonìa, si polverizzeranno i colori, si tarleranno le forme. E da qui, dall'età argentea ottocentesca, ecco in precìpite successione l'età brulla della latta novecentesca ed infine del fango: o sia l'età del Nulla, o sia la presente e morta.
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L'art ne compte rien dans le questions capitales de l'existence.
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Mi attrae meno l'umanità della bestia che la bestialità dell'uomo.
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Tutto m'induce a crèdere che la Bellezza sia nata prima della vita e sia morta per colpa di questa.
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SE... Se Dio esistesse coinciderebbe con il Tutto, dato che il Tutto è necessariamente uno ed infinito, al pari di Dio, e due infiniti non possono essere concepiti. Se Dio coincidesse con il Tutto, l'uomo non sarebbe fatto ad immagine e somiglianza di Dio, come prèdica il Cristianesimo, ma sarebbe parte di Dio stesso, così come Dio sarebbe il Tutto dell'uomo. Nel qual caso si dovrebbe porre straordinaria attenzione nel giudicare l'uomo poiché si giudicherebbe Dio stesso, ed altrettanta attenzione nel giudicare Dio poiché in Lui ci sarebbe l'uomo...
 NB. Il Tutto esiste per evidenza ineluttàbile. Se esista Dio è domanda ineludìbile e ingenua, destinata a perenne attesa di risposta.
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Raramente tiro fuori la testa dall'"io" per proiettarla nel mondo. E prestamente la ritraggo frastornata dalla noia.
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Anch'io dò ragione a Spinoza, il miràbile pensatore nederlandese, quando afferma che l'uomo non gode di lìbero arbitrio. Ma è una fortuna! Ci mancherebbe altro che ai bìpedi fosse concesso di far ciò che più gli aggrada. Sai te che tragico disfrenarsi "cosmico"! Meglio, molto meglio, lasciar fare alla Necessità, o al Caso: sono più maturi e savi.
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L'altra notte sognavo d'inventarmi il "Tutto". Niente da fare. Tutto esaurito.
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 Mi è gradito pensare alla storia della filosofìa come ad una storia di òpere d'arte. Ad esempio, "La crìtica della ragione pura" di Kant, "La fenomenologìa dello Spìrito" di Hegel sono "oggetti" estètici al pari delle "Sinfonìe" di Mozart e di Beethoven. Quanto alla sostanza della filosofìa, essa è materia, dopo gli antichi filòsofi greci, di meri impasti tautològici.
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Un tempo èrano esaltati i capidopera della mùsica. Oggi se ne esàltano gli intèrpreti. Il divismo occulta un vuoto.
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Sono stato invitato a cena in un raffinato restaurant della metròpoli capitolina. L'inchinato comandante dei camerieri mi ha porto un'interminàbile e variegata lista di vivande prelibate, tra le quali ho scelto delle coquilles Saint-Jacques, irrorate da un Ch^ateau Lafitte... Non appena il divino cibo ha sfiorato le mie labbra imperlate d'acquolina mi si è disvelata un'equazione: la pietanza sta al menu come la cultura all'erudizione.
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Ogni cosa pensata trova in sé una contraddizione che ne vanìfica la formulazione.
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Erano due fratelli indolentissimi. L'uno restava al buio la mattina pur di non sollevare le pàlpebre, l'altro rimaneva desto la notte pur di non abbassarle. Vènnero a lite allorché, in età molto delicata, si trattò di scèndere nel nero gorgo dell'al di là: ciascuno incaricò l'altro di precèderlo.
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Seppure madre Natura c'avesse dotati di quattro od otto gambe saremmo sempre fermi allo stesso punto.
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Se vuoi capire il valore del silenzio, fa' parlare il tuo vicino.
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Che miope bislaccherìa imporre lo studio della filosofìa agli adolescenti sui banchi di scuola, quando la filosofìa è la disciplina di sìntesi per eccellenza, volta a raccògliere e ad attribuire un elusivo  significato a quanto l'uomo ha incontrato e sperimentato nel corso dell'esistenza!  Cosa stolta e vana quanto in Conservatorio far studiare Mozart ai giòvani allievi dei primi corsi di pianoforte, anziché affrontarlo in fine, come bàlsamo dopo aver perlustrato tutti i miraggi e i bui anfratti del sentimento.
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Mi domando se l'illusione sia un medicamento portentoso oppure la rampa di lancio del disinganno.
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A che sto pensando? Oh bella! a nulla sto pensando. Da lunga pezza ho pensato a tutto ciò cui potevo pensare. Oggi, al più, mi faccio pensare, badando a che i riflessi di dell'altrui pensiero non mi ùrtino o ferìscano.
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Ogni volta che passo davanti ad una pasticcerìa e m'avvòlgono i suoi profumi voluminosi e rosei, mi risuònano alla mente le note dei più fastosi Oratori haendeliani.
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Le storie di uòmini sono cose pietose e commoventi, ma la Storia fatta dagli uòmini è cosa meschina e molesta.
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 Se basta una preghiera, il rosario è controproducente.
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Sono propenso a giudicare il valore di un pianista dal modo in cui egli suona Mozart, il cui linguaggio costituisce un trabocchetto senza fine; ed il valore di un direttore d'orchestra dal modo nel quale dirige Mahler, le cui Sinfonìe rappresèntano per il podio un cimento infernale sotto il profilo dell'equilibrio e della coesione orchestrali.
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Alta cultura. Quest'anno il Corso di Musicologìa sarà incentrato su "Riflessi socio-econòmici della pràtica dell "acciaccatura" nel Ducato di Parma a cavallo tra il 1731 e il 1732 in sèguito al passaggio del summentovato Ducato dai Farnese ai Borboni".
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La lettura di una partitura, o di uno spartito, non sempre dà, neppure al provetto musicista o musicòlogo, l'emozione che dà la stessa mùsica nell'atto dell'esecuzione. Valga d'esempio la mùsica fiamminga: in specie le òpere di Ockeghem (il nostro prediletto), Obrecht e Desprès, i cui testi migliori fòndono l'insuperato magistero contrappuntìstico all'afflato di una misteriosa e càrsica ispirazione che soltanto nel vivo ascolto apprezziamo a pieno.
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La certezza è solita esaurirci mentre il dubbio ci arricchisce. Ma si ponga attenzione a che il dubbio non sia declassato a certezza. Si consiglia all'uopo di dubitare del dubbio stesso, lungo un processo senza soluzione di continuità. Rammentiamo che il dubbio è lo strumento più cònsono all'indàgine dell'imperituro mistero entro il quale tiriamo provvisoriamente a campare.
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 Il cittadino e il polìtico: le due facce della medaglia. Il polìtico è il portato della coscienza statuale del cittadino, il quale nell'atto di lodare o biasimare il polìtico, in verità loda o biasima se stesso. In senso più lato, ogni pòpolo mostra la propria ìndole civile e culturale, il proprio spìrito collettivo, nella polìtica che lo accompagna.
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 Non si dà maggior rischio del puntare sull'uomo qual è.
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Voltaire ha scritto "Le Siècle de Louis XIV" sorseggiando Cognac; Hippolyte Taine ha scritto "L'ancien régime" sorseggiando Grand Marnier.
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Musica est voluptas. Anche.
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Preghiera. Dio mio, guìdami Tu: fa' ch'io possa non più servirmi di quel lìbero arbitrio di cui mi hai dotato e da cui sono così di frequente condotto ad infelicità e a sofferenze, oltreché indotto al peccato. Decidi Tu per me perché le Tue decisioni, al contrario delle mie, sono infallìbili. Ma se proprio dovessi io agire secondo il mio lìbero arbitrio, fa' in modo ch'esso sia degno del Tuo, se è vero com'è vero che Tu hai voluto crearmi a Tua immàgine e simiglianza. Se Tu mi ami compòrtati di conseguenza nei confronti dell'èssere amato. Amen.
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 "Chiama beato il morto", ha detto Chilone spartano, uno dei sette sapienti, figlio a Damageto.
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 Fin dalle orìgini quasi tutti gli uòmini, senza èsserne consapèvoli, hanno concepito e trattato Dio come "persona".
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 Non ripudio mai un ragionamento che mi affàscina sotto il profilo della logica formale soltanto perché se ne dimostra l'erroneità sostanziale. 
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 Il y a quelque chose de doucement contrefait dans la peinture de Renoir, che ho amato nell'età dell'adolescenza, quando, a dir la verità, amavo ancora più gli agnolotti al burro e salvia che cucinava mia nonna nella sua casa torinese, durante le fugaci vacanze di Natale.
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Capovolgendo un'osservazione di Voltaire, è legittimo azzardare che il suicidio sia molte volte provocato da un eccesso della ragione.
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I sogni più belli non sono forse capolavori cinematogràfici?
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 "Un vero uomo", "Una vera donna".... Quando sento siffatte definizioni penso sùbito, infastidito, ad èsseri umani eccessivi.
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Non è complicato distìnguere un ottimista da un pessimista. Il primo si vergogna a morte quando perde un cimento, e fà di tutto per passare da vincente; il secondo si vergogna come un reo quando vince e s'industria in tutti i modi a passare da perdente. Sèntono entrambi che ne va non tanto della loro "Weltanschuung" quanto del loro decoro.
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 Non pochi tra i rimpròveri che facciamo ai figli sono rimpròveri che volgiamo a noi stessi per non aver fatto alla loro età ciò che ora rimproveriamo loro.
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Fa' pure i complimenti più inverosimili e spudorati. Qualcosa resterà.
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Non esiste la meta ma il moto.
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Ho trascorso le vacanze alla scoperta di me stesso. Passeggiàndomi.